Comunione de residuo nello scioglimento della comunione legale: principi e applicazione – Sentenza Tribunale di Avellino 2024
Nel complesso panorama del diritto di famiglia italiano, la comunione de residuo rappresenta un istituto giuridico di fondamentale importanza, spesso al centro di dispute patrimoniali tra coniugi separati. Una recente sentenza del Tribunale di Avellino del 2024 getta nuova luce su questa delicata materia, affrontando le sfide interpretative e applicative della comunione de residuo nel contesto dello scioglimento della comunione legale. Ma cosa si intende esattamente per comunione de residuo? E come si bilanciano i diritti dei coniugi su beni che, pur formalmente esclusi dalla comunione immediata, possono rientrarvi al momento dello scioglimento? La decisione in esame offre spunti illuminanti per comprendere l’orientamento attuale della giurisprudenza in questo ambito complesso del diritto patrimoniale della famiglia.
Indice
ESPOSIZIONE DEI FATTI
Il caso in esame trae origine da una causa civile iscritta nel 2016 presso il Tribunale di Avellino, avente ad oggetto lo scioglimento della comunione legale tra due ex coniugi. La vicenda si inserisce nel contesto di una pregressa separazione giudiziale, sancita da una sentenza passata in giudicato dopo essere stata oggetto di appello e ricorso in Cassazione.
Al centro della controversia vi è la definizione e la ripartizione del patrimonio coniugale, con particolare attenzione ai beni rientranti nella cosiddetta comunione de residuo. L’attrice ha richiesto lo scioglimento della comunione sui beni acquistati in costanza di matrimonio, inclusi quelli potenzialmente soggetti alla comunione de residuo. Ha inoltre domandato l’attribuzione a ciascun coniuge della parte corrispondente alla propria quota ideale, pari alla metà del patrimonio comune.
Tra le questioni sollevate, emergono aspetti cruciali relativi alla comunione de residuo, quali:
- L’identificazione precisa dei beni da includervi, con particolare riferimento ai frutti dei beni personali e ai proventi dell’attività separata di ciascun coniuge;
- La determinazione del momento esatto in cui tali beni entrano effettivamente in comunione, considerando che lo scioglimento della comunione legale era avvenuto con l’autorizzazione presidenziale a vivere separati;
- Le modalità di calcolo e ripartizione del valore di tali beni, tenendo conto della loro natura spesso “virtuale” fino al momento dello scioglimento;
- L’eventuale diritto di ciascun coniuge a ottenere rendiconti dettagliati sulla gestione dei beni potenzialmente rientranti nella comunione de residuo durante il periodo di separazione.
Il convenuto, da parte sua, ha contestato l’inclusione di alcuni beni nella comunione de residuo, sostenendo che fossero di sua esclusiva proprietà o che fossero stati consumati prima dello scioglimento effettivo della comunione. Ha inoltre sollevato questioni relative alla valutazione economica di tali beni e alla determinazione di eventuali conguagli.
Un aspetto particolarmente controverso riguardava i risparmi e gli investimenti effettuati da entrambi i coniugi durante il matrimonio, ma gestiti separatamente. L’attrice sosteneva che questi dovevano rientrare nella comunione de residuo, mentre il convenuto argomentava che, essendo stati in parte utilizzati durante la separazione, non potessero essere oggetto di divisione.
Inoltre, sono emerse problematiche relative ai frutti di beni personali, come canoni di locazione di immobili di proprietà esclusiva di uno dei coniugi, e ai proventi dell’attività professionale di ciascuno, accumulati ma non consumati al momento dello scioglimento della comunione.
La complessità del caso è accentuata dalla necessità di determinare con precisione il momento dello scioglimento della comunione legale, cruciale per stabilire quali beni fossero effettivamente da includere nella comunione de residuo. Le parti hanno dibattuto se tale momento coincidesse con l’autorizzazione presidenziale a vivere separati o con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione.
Il Tribunale si è trovato quindi a dover dirimere queste complesse questioni, bilanciando i principi giuridici della comunione de residuo con le particolari circostanze del caso concreto, al fine di giungere a una divisione equa e giuridicamente fondata del patrimonio coniugale.
NORMATIVA E PRECEDENTI
La comunione de residuo, istituto fondamentale nel diritto di famiglia italiano, trova il suo fondamento normativo nel Codice civile, in particolare negli articoli 177, 178 e 179. Questi articoli delineano il quadro giuridico all’interno del quale si colloca la controversia in esame.
L’articolo 177 del Codice civile, alle lettere b) e c), stabilisce che fanno parte della comunione de residuo:
- I frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;
- I proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati.
L’articolo 178 c.c. estende il concetto ai beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente, se sussistono al momento dello scioglimento della comunione.
La giurisprudenza ha progressivamente chiarito e definito i contorni di questo istituto. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6876 del 2013, ha precisato che la “comunione differita” (o comunione de residuo) si estende ai beni non consumati al momento dello scioglimento del matrimonio o della comunione, i quali divengono comuni, per la parte residuale.
Riguardo al momento dello scioglimento della comunione legale, cruciale per determinare quali beni rientrino nella comunione de residuo, la legge 55/2015 ha introdotto il secondo comma dell’art. 191 c.c., stabilendo che in caso di separazione personale, la comunione si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati.
Per quanto concerne la divisione dei beni in comunione, l’art. 194 c.c. stabilisce il principio della ripartizione in parti uguali, indipendentemente dal contributo di ciascun coniuge all’acquisto. Questo principio si applica anche ai beni della comunione de residuo.
La giurisprudenza ha inoltre affrontato la questione dei criteri di divisione quando nella massa confluiscono beni di diversa natura. La sentenza della Cassazione n. 15105 del 2000 ha chiarito che il giudice può discostarsi dal principio di uguale natura e qualità dei beni da assegnare (art. 727 c.c.) quando ciò sia necessario per garantire una divisione equa in termini di valore.
Relativamente all’indennità per l’uso esclusivo di un bene comune, la Cassazione, con sentenza n. 17876 del 2019, ha confermato che il godimento esclusivo da parte di uno dei comunisti configura il percepimento di frutti civili da liquidarsi in forza di un canone di locazione figurativo.
Sulla decorrenza di tale indennità, la recente sentenza della Cassazione n. 10264 del 2023 ha stabilito che, in caso di separazione dei coniugi, l’indennità di occupazione della casa coniugale acquistata in regime di comunione legale non va corrisposta dalla data della separazione, ma da quella in cui il coniuge non occupante manifesti all’altro la richiesta di uso turnario o la volontà di godimento dell’immobile.
Infine, per quanto riguarda la restituzione di somme versate a titolo di mantenimento, la giurisprudenza (Cass. n. 10543 del 2012) ha ribadito il principio secondo cui gli assegni di mantenimento disposti provvisoriamente in causa non possono essere restituiti dopo la revoca dei provvedimenti, salvo eventuali azioni risarcitorie per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
Il Tribunale di Avellino, nella sentenza in esame, ha affrontato le complesse questioni relative alla comunione de residuo e allo scioglimento della comunione legale con un approccio dettagliato e aderente ai principi giurisprudenziali consolidati.
In primo luogo, il Tribunale ha riaffermato il principio secondo cui la comunione legale si scioglie di diritto nel momento in cui il Presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separatamente, in linea con quanto previsto dal secondo comma dell’art. 191 c.c. Questo momento è cruciale per determinare quali beni rientrino effettivamente nella comunione de residuo.
Il giudice ha poi proceduto a una dettagliata analisi dei beni in comunione, avvalendosi della consulenza tecnica d’ufficio per la loro individuazione e valutazione. Particolare attenzione è stata posta sui beni potenzialmente rientranti nella comunione de residuo, come i frutti dei beni personali e i proventi dell’attività separata dei coniugi non consumati al momento dello scioglimento.
Nella sua decisione, il Tribunale ha accolto un progetto divisionale che, pur discostandosi in parte dalle proposte del CTU, rispecchia la volontà delle parti e si allinea con i principi espressi dalla Cassazione nella sentenza n. 15105 del 2000. In particolare, il giudice ha optato per l’attribuzione di interi immobili a ciascun coniuge, piuttosto che per un frazionamento delle singole entità, ritenendo che ciò soddisfacesse meglio il diritto dei condividenti di ottenere una porzione di valore proporzionalmente corrispondente a quello della massa da dividere.
Per quanto riguarda la comunione de residuo, il Tribunale ha incluso nella divisione i beni che, pur essendo formalmente esclusi dalla comunione immediata, risultavano non consumati al momento dello scioglimento. Questo ha comportato una valutazione attenta dei risparmi, degli investimenti e dei proventi delle attività separate dei coniugi.
Un aspetto significativo della decisione riguarda l’indennità per l’uso esclusivo della casa coniugale. Il Tribunale, applicando il principio espresso dalla Cassazione nella sentenza n. 10264 del 2023, ha stabilito che tale indennità decorre non dalla data della separazione, ma dal momento in cui è stata manifestata la richiesta di uso turnario o di partecipazione al godimento da parte del coniuge non occupante. Nel caso specifico, il giudice ha individuato tale momento nella domanda di mediazione, considerandola come prima manifestazione implicita della volontà di godimento dell’immobile.
Il Tribunale ha inoltre respinto la richiesta di restituzione degli importi versati a titolo di mantenimento, confermando il principio dell’irripetibilità degli assegni di mantenimento disposti provvisoriamente e successivamente revocati, in linea con la giurisprudenza della Cassazione (sentenza n. 10543 del 2012).
In conclusione, la sentenza del Tribunale di Avellino offre un’applicazione pratica e ben argomentata dei principi relativi alla comunione de residuo e allo scioglimento della comunione legale. Il giudice ha dimostrato un’attenta considerazione delle peculiarità del caso concreto, bilanciando le esigenze di equità con il rispetto dei principi giuridici consolidati.
Questa decisione rappresenta un importante punto di riferimento per casi analoghi, fornendo chiarimenti su aspetti cruciali come il momento dello scioglimento della comunione, i criteri di inclusione dei beni nella comunione de residuo, le modalità di divisione e il calcolo delle indennità per l’uso esclusivo di beni comuni.
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ESTRATTO DELLA SENTENZA
“Va chiarito che la comunione legale si è sciolta di diritto nel momento in cui il Presidente del Tribunale ha autorizzato i coniugi, odierne parti, a vivere separatamente a seguito di ricorso giudiziale (o dopo la sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale, in tale ultima diversa fattispecie); nel caso in esame è intervenuta sentenza di separazione n. 33 del 2008 resa dal Tribunale di Avellino, gravata da appello e Cassazione, e passata in giudicato.