Rendita vitalizia nulla per età avanzata | Tribunale Milano 2024

Con una significativa pronuncia in tema di rendita vitalizia e successioni, il Tribunale di Milano ha stabilito che è nullo per difetto di alea il contratto di rendita vitalizia stipulato con un vitaliziato di 95 anni, prevedendo come corrispettivo il trasferimento di gestioni patrimoniali del valore di oltre 1,3 milioni di euro. Gli elementi determinanti per la dichiarazione di nullità sono stati l’età molto avanzata del beneficiario, il suo stato di buona salute che rendeva minime le spese sanitarie a carico dei vitalizianti, e la sproporzione tra la durata prevista del contratto (fino al 2034, quando il vitaliziato avrebbe avuto 110 anni) e la ragionevole aspettativa di vita.

Il Tribunale ha invece riconosciuto la validità del successivo testamento pubblico quale titolo per l’acquisto delle gestioni patrimoniali, qualificando i beneficiari come eredi testamentari e non meri legatari, vista l’espressa volontà del testatore di disporre del suo “patrimonio” nella sua interezza. La pronuncia chiarisce però che gli eredi potranno ottenere la liquidazione delle gestioni patrimoniali solo dopo aver presentato una dichiarazione di successione integrativa che includa tali rapporti, come espressamente richiesto dall’art. 48, comma 3, del D.Lgs. 346/1990 in materia tributaria.

La sentenza rappresenta un importante precedente per la valutazione dell’alea nei contratti di rendita vitalizia e per gli adempimenti necessari alla liquidazione di gestioni patrimoniali in ambito successorio.

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Per una comprensione completa della vicenda giudiziaria, ti invitiamo a proseguire con la lettura del testo completo.

INDICE

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA
  • SCARICA LA SENTENZA ⬇️

ESPOSIZIONE DEI FATTI

La controversia trae origine dalla richiesta di due soggetti di ottenere l’accertamento della titolarità di due gestioni patrimoniali precedentemente intestate a un de cuius, del valore complessivo di oltre 1,3 milioni di euro alla data del decesso. Gli attori fondavano la loro pretesa su due titoli alternativi: un contratto di rendita vitalizia assistenziale e alimentare stipulato il 26 novembre 2019 e un successivo testamento pubblico del 17 febbraio 2020.

Il contratto di rendita vitalizia prevedeva che gli attori si impegnassero a fornire al vitaliziato vitto, alloggio e quanto necessario per una decorosa esistenza, comprese le cure mediche e l’assistenza morale e materiale. In corrispettivo, il vitaliziato si obbligava a trasferire loro l’intero importo delle gestioni patrimoniali nella misura del 55% a favore del primo attore e del 45% a favore del secondo, con scadenza al 31 dicembre 2034.

Successivamente, con testamento pubblico del febbraio 2020, il de cuius aveva disposto delle medesime gestioni patrimoniali a favore degli stessi soggetti ma in quote paritarie del 50% ciascuno, revocando espressamente tutte le precedenti disposizioni testamentarie.

Dopo il decesso del vitaliziato, avvenuto il 5 maggio 2020, gli attori avevano richiesto alla banca depositaria la liquidazione delle gestioni patrimoniali, ma l’istituto di credito non aveva dato seguito alla richiesta. Gli attori avevano quindi promosso il presente giudizio per ottenere l’accertamento della titolarità delle gestioni e la conseguente liquidazione, oltre al risarcimento dei danni per il ritardo e per l’eventuale diminuzione di valore del portafoglio.

Nel corso del procedimento sono intervenuti sia la società di gestione del risparmio che gestiva i portafogli sia un nipote del de cuius. Quest’ultimo ha inizialmente contestato la validità del testamento pubblico, per poi raggiungere un accordo con gli attori nel corso del giudizio.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il Tribunale ha esaminato approfonditamente la questione alla luce della normativa in materia di rendita vitalizia e di successioni. Per quanto riguarda la rendita vitalizia, è stato applicato il consolidato orientamento giurisprudenziale che richiede, per la validità del contratto, la sussistenza di un’effettiva alea riguardante sia la durata del rapporto sia l’entità delle prestazioni.

Di particolare rilevanza è stata l’applicazione dell’art. 48, comma 3, del D.Lgs. 346/1990 (Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), reintrodotto dal D.L. 262/2006. Tale norma prevede che i debitori del defunto e i detentori di beni ereditari non possano pagare le somme dovute o consegnare i beni agli eredi se non è stata fornita la prova della presentazione della dichiarazione di successione contenente l’indicazione dei crediti e dei beni in questione.

Il Tribunale ha richiamato l’importante pronuncia della Corte di Cassazione (Ordinanza n. 9670/2021) che ha chiarito come la ratio della norma sia quella di garantire l’adempimento degli obblighi fiscali, impedendo alla banca di dare seguito alle richieste degli eredi in mancanza della prova del previo adempimento di tali obblighi. La violazione del divieto è punita con una sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell’imposta dovuta.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

Il Tribunale ha innanzitutto dichiarato la nullità del contratto di rendita vitalizia per difetto di alea, elemento essenziale di questo tipo di contratto. Nella valutazione sono stati considerati diversi elementi determinanti:

  • L’età molto avanzata del vitaliziato (95 anni al momento della stipula)
  • Il suo stato di buona salute, documentato dalle dichiarazioni del medico curante
  • La conseguente prevedibile limitatezza delle spese sanitarie a carico dei vitalizianti
  • La disponibilità di immobili di proprietà del vitaliziato dove questi poteva continuare ad alloggiare
  • Il notevole valore delle gestioni patrimoniali oggetto del contratto (oltre 1,3 milioni di euro)
  • La sproporzione tra la durata prevista del contratto (fino al 2034, quando il vitaliziato avrebbe avuto 110 anni) e la ragionevole aspettativa di vita

Questi elementi hanno portato il giudice a ritenere che mancasse un effettivo rischio contrattuale tale da giustificare la causa del contratto di rendita vitalizia.

Il Tribunale ha invece riconosciuto piena validità al testamento pubblico quale titolo di acquisto delle gestioni patrimoniali da parte degli attori, nella misura del 50% ciascuno. La pronuncia ha qualificato gli attori come eredi testamentari e non meri legatari, considerando che il testatore aveva espressamente manifestato la volontà di disporre del suo “patrimonio” e che i beni elencati nel testamento (compresi gli immobili e le gestioni patrimoniali) costituivano l’intero patrimonio del de cuius.

Tuttavia, il Tribunale ha stabilito che per ottenere la liquidazione delle gestioni patrimoniali, gli eredi devono necessariamente presentare una dichiarazione di successione integrativa che includa tali rapporti. Questa condizione deriva dall’applicazione dell’art. 48 del D.Lgs. 346/1990, che impone alla banca di non procedere alla liquidazione in assenza di tale adempimento fiscale.

Il Tribunale ha conseguentemente respinto le domande di risarcimento danni e di rendiconto avanzate dagli attori, non ravvisando alcun inadempimento da parte della banca e della società di gestione. Queste ultime, infatti, erano legalmente impossibilitate a procedere alla liquidazione in assenza della dichiarazione di successione comprensiva delle gestioni patrimoniali.

ESTRATTO DELLA SENTENZA

“Alla luce delle argomentazioni svolte nel presente giudizio e della ritenuta validità del testamento pubblico del 17.2.2020 registrato in data 12.5.2020 deve ritenersi che la titolarità delle gestioni patrimoniali sia stata acquistata dagli attori nella misura del 50% ciascuno.

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