La responsabilità professionale medica continua a rappresentare una delle questioni più intricate del diritto sanitario, specialmente quando emerge la delicata distinzione tra competenza esecutiva e giudizio clinico appropriato. Una recente pronuncia del Tribunale di Latina del 2025 ha affrontato un caso che mette in luce come l’eccellenza tecnica nell’esecuzione di un intervento chirurgico non possa mai prescindere da una valutazione complessiva delle condizioni del paziente, aprendo interrogativi fondamentali sull’applicazione dell’articolo 2236 del codice civile nella moderna pratica medica.
Il caso riguarda una paziente settantenne sottoposta a osteotomia alta tibiale presso una struttura sanitaria del Lazio. Nonostante la perfetta esecuzione tecnica dell’intervento, l’inadeguata valutazione delle condizioni generali della paziente – età avanzata, artrosi multicompartimentale, qualità ossea compromessa – ha comportato l’insuccesso dell’operazione e la necessità di un secondo intervento ben più invasivo.
La vicenda solleva interrogativi cruciali sul confine tra competenza tecnica e appropriatezza clinica nell’ambito della responsabilità professionale. Se è vero che l’art. 2236 c.c. prevede una limitazione di responsabilità per i professionisti quando la prestazione “implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà“, il caso de quo dimostra come tale protezione non possa estendersi alle situazioni in cui l’errore deriva da una scelta terapeutica inappropriata, pur in presenza di una tecnica chirurgica impeccabile.
La sentenza si inserisce nel più ampio quadro interpretativo che la giurisprudenza ha sviluppato intorno alle leges artis e al concetto di diligenza professionale qualificata. Il Tribunale pontino ha infatti chiarito che la responsabilità medica può configurarsi anche quando l’intervento è tecnicamente ben eseguito, qualora la valutazione complessiva del quadro clinico del paziente non sia stata adeguata rispetto all’indicazione terapeutica prescelta.
La pronuncia assume particolare rilievo anche alla luce della Legge Gelli-Bianco del 2017, che pur non trovando applicazione diretta al caso per ragioni temporali, costituisce un prezioso parametro interpretativo per inquadrare la natura della responsabilità dei soggetti coinvolti e il rapporto tra responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e responsabilità extracontrattuale del medico.
Avv. Cosimo Montinaro – email segreteria@studiomontinaro.it
Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda giudiziaria trae origine dal trattamento sanitario ricevuto da una paziente nel febbraio del 2010 presso l’ICOT, dove fu sottoposta a un intervento di osteotomia alta tibiale in adduzione con placca. L’operazione venne eseguita da un chirurgo ortopedico in regime di libera professione intramuraria, attraverso un contratto di collaborazione professionale con la struttura sanitaria.
La complessità del caso emergeva già dalle condizioni pre-operatorie della paziente: una donna di sessantanove anni affetta da artrosi multicompartimentale del ginocchio, con compromissione sia del compartimento interno che della articolazione femoro-rotulea. La qualità dell’osso risultava compromessa dall’età avanzata, mentre la vita relazionale della paziente appariva già significativamente ridotta dalle limitazioni funzionali preesistenti.
L’intervento di osteotomia alta tibiale rappresenta una procedura chirurgica specialistica finalizzata a correggere il carico meccanico dell’arto inferiore attraverso la modificazione dell’asse di carico del ginocchio. La tecnica chirurgica richiede elevata competenza specialistica e una accurata valutazione delle indicazioni, considerando fattori quali l’età del paziente, il grado di attività fisica, la qualità ossea e l’estensione del danno articolare.
Nei mesi successivi all’intervento, nonostante le rassicurazioni del medico curante circa il decorso post-operatorio, iniziarono a manifestarsi le prime criticità. Un controllo radiografico eseguito nel giugno 2010 rivelò la presenza di “modica diastasi tra i capi ossei“, segnalando un’alterazione del processo di consolidazione ossea. La paziente fu sottoposta a una nuova valutazione specialistica che portò alla diagnosi di “frattura tibiale tra le due viti della placca” e all’indicazione per un secondo intervento chirurgico.
Nel settembre dello stesso anno, la paziente dovette essere sottoposta a un intervento di artroplastica tricompartimentale presso una diversa struttura sanitaria, la clinica “Pineta Grande”. Durante questa seconda operazione emersero elementi particolarmente significativi: la rottura della placca di osteotomia e la perdita di una delle viti di fissaggio, circostanze che evidenziavano il fallimento meccanico del primo intervento.
La trasformazione della situazione clinica da una procedura conservativa (osteotomia) a un intervento demolitivo e sostitutivo (protesi totale di ginocchio) rappresentò un aggravamento significativo delle condizioni della paziente. L’artroplastica totale, pur risolvendo il problema articolare, comporta limitazioni funzionali maggiori e una prognosi diversa rispetto all’intervento originariamente programmato, con conseguente peggioramento della qualità di vita e delle prospettive riabilitative dell’anziana paziente.
NORMATIVA E PRECEDENTI
La responsabilità professionale medica trova il suo fondamento normativo nell’articolo 2236 del codice civile, che stabilisce: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave“. Questa disposizione introduce una deroga significativa al regime generale della responsabilità civile, prevedendo una limitazione di responsabilità per i professionisti intellettuali quando si trovino ad affrontare questioni di particolare complessità tecnica.
L’interpretazione giurisprudenziale dell’articolo 2236 c.c. ha chiarito che la norma si applica esclusivamente ai casi di imperizia, non estendendosi alle ipotesi di negligenza e imprudenza. Come precisato dalla Cassazione civile nella sentenza n. 5945/2000, “la limitazione della responsabilità professionale del medico ai soli casi di dolo o colpa grave attiene esclusivamente alla perizia nella soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà che trascendono la preparazione media“.
La distinzione fondamentale tra i diversi profili di colpa assume rilevanza cruciale nell’applicazione della norma. L’imperizia si configura nella violazione delle leges artis, ossia delle regole tecniche specialistiche della professione medica, e può beneficiare della limitazione di responsabilità prevista dall’art. 2236 c.c. solo quando ricorrano “problemi tecnici di particolare difficoltà“. Per converso, la negligenza e l’imprudenza attengono alla violazione dei comuni doveri di diligenza e prudenza, rimanendo soggette al regime ordinario di responsabilità anche per colpa lieve.
Il concetto di “problemi tecnici di particolare difficoltà” è stato oggetto di elaborazione giurisprudenziale approfondita. La Cassazione civile, con la sentenza n. 4152/1995, ha chiarito che si tratta di problemi “che trascendono la preparazione media” del professionista, sia perché “la particolare complessità discende dal fatto che il caso non è stato ancora studiato a sufficienza” sia perché “non è stato ancora dibattuto con riferimento ai metodi da adottare“. L’onere della prova circa la sussistenza di tale speciale difficoltà grava interamente sul professionista che intende avvalersi della limitazione di responsabilità.
Nel caso in esame, assume particolare rilevanza la giurisprudenza consolidata che ha precisato come la scelta terapeutica costituisca un momento valutativo distinto dalla esecuzione tecnica dell’intervento. La Corte di Cassazione ha infatti stabilito che “la responsabilità del medico per errata scelta terapeutica non può beneficiare della limitazione prevista dall’art. 2236 c.c. quando l’errore deriva da inadeguata valutazione delle condizioni complessive del paziente“.
La Legge Gelli-Bianco (L. n. 24/2017), pur non trovando applicazione diretta al caso per ragioni temporali, ha introdotto elementi interpretativi significativi. L’articolo 7 della legge ha codificato la distinzione tra responsabilità contrattuale della struttura sanitaria (artt. 1218 e 1228 c.c.) e responsabilità extracontrattuale del medico (art. 2043 c.c.), confermando un orientamento giurisprudenziale che si è rivelato determinante per l’inquadramento della fattispecie.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
Il Tribunale di Latina ha sviluppato un’analisi giuridica articolata che ha condotto al riconoscimento della responsabilità solidale tanto della struttura sanitaria quanto del chirurgo operatore, pur in presenza di una esecuzione tecnicamente corretta dell’intervento. La decisione si fonda su una valutazione differenziata dei profili di responsabilità, distinguendo tra competenza esecutiva e appropriatezza della scelta clinica.
