Una recente pronuncia della Corte di Cassazione ha affrontato una questione di grande rilevanza pratica per migliaia di famiglie italiane: quando un genitore divorziato ha diritto alla restituzione delle somme già versate a titolo di assegno di mantenimento per un figlio maggiorenne, qualora vengano meno i presupposti originari che giustificavano tale obbligo.
La vicenda ha origine da un complesso procedimento che ha visto protagonista un padre che, dopo anni di versamenti per il mantenimento dei propri figli maggiorenni, si è rivolto al Tribunale per ottenere la revoca degli assegni a causa del peggioramento delle proprie condizioni economiche e dell’età raggiunta dai figli. La controversia ha toccato aspetti fondamentali del diritto di famiglia, sollevando questioni processuali di estrema importanza relative al rispetto del contraddittorio nei procedimenti camerali e ai criteri per stabilire quando le somme già versate possano essere considerate ripetibili.
Il caso ha assunto particolare complessità quando la Corte d’Appello di Roma ha dovuto valutare se sussistessero ancora i presupposti per il mantenimento dei figli, uno dei quali aveva già compiuto 29 anni, mentre l’altra figlia, di 25 anni, aveva abbandonato gli studi universitari per frequentare un corso privato di formazione artistica. La decisione del giudice di secondo grado ha sollevato questioni controverse relative all’onere probatorio e alla corretta applicazione delle norme in materia di mantenimento dei figli maggiorenni.
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Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La controversia trae origine da una sentenza di divorzio pronunciata dal Tribunale nel 2016, con la quale era stato stabilito che il padre versasse un assegno mensile di 150 euro per il mantenimento del figlio maggiorenne e 700 euro per il mantenimento della figlia, oltre al contributo del 50% delle spese straordinarie. La situazione economica dell’obbligato, che svolgeva attività di commercio di fumetti, era progressivamente peggiorata nel corso degli anni, con il reddito che era sceso da 13.000 euro netti nel 2015 a soli 7.000 euro nel 2020.
Il quadro patrimoniale del padre si era ulteriormente aggravato a causa di numerose procedure esecutive avviate dall’ex coniuge per il recupero degli arretrati. L’immobile adibito ad abitazione era stato espropriato, con assegnazione alla ex moglie di parte del ricavato per circa 18.000 euro a titolo di arretrati dell’assegno di mantenimento. Altri immobili di proprietà erano stati pignorati, e solo recentemente il debitore era riuscito a liberare dal pignoramento una villetta versando oltre 47.000 euro, di cui 30.000 euro erano stati destinati alla ex coniuge per gli arretrati del mantenimento dei figli.
La situazione reddituale della madre risultava invece caratterizzata dall’assenza di attività lavorativa documentata, pur essendo proprietaria dell’appartamento in cui viveva e di un altro immobile adibito a casa vacanze, i cui proventi non erano stati però documentati nel corso del procedimento. Un elemento particolarmente significativo emergeva dalla circostanza, rimasta incontestata, che dal 2014 l’ex marito non aveva più versato spontaneamente alcuna somma per il mantenimento dei figli, costringendo la madre a ricorrere ripetutamente alle procedure esecutive per ottenere il pagamento degli arretrati.
Per quanto riguarda la condizione dei figli, il quadro presentava caratteristiche diverse per ciascuno di essi. Il figlio maggiore aveva già compiuto 29 anni al momento dell’introduzione del giudizio di primo grado nel 2019, un’età che secondo i consolidati orientamenti giurisprudenziali richiede una valutazione particolarmente rigorosa dei presupposti per il mantenimento. La figlia, di 25 anni, aveva abbandonato gli studi universitari per iscriversi a un corso presso un istituto privato di formazione artistica, che risultava ormai prossimo alla conclusione.
Nel corso del procedimento non era stata prodotta alcuna documentazione specifica riguardo all’impegno profuso dalla ragazza nel corso di studi intrapreso, ai tempi previsti per la conclusione del percorso formativo, né alle eventuali attività già svolte per la ricerca di un’occupazione lavorativa. Questa mancanza di elementi probatori si è rivelata decisiva per la valutazione del caso da parte dei giudici di merito, che hanno dovuto bilanciare il principio dell’autoresponsabilità del figlio maggiorenne con la necessità di garantire il completamento di un percorso formativo ritenuto ancora in corso.
NORMATIVA E PRECEDENTI
La questione del mantenimento dei figli maggiorenni trova la sua disciplina normativa principale nell’articolo 337-septies del Codice Civile, secondo il quale “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico”. La norma rappresenta l’evoluzione dell’originario articolo 155-quinquies, introdotto dalla riforma del 2006 e successivamente trasfuso nel nuovo sistema normativo sulla filiazione.
Il principio cardine che emerge dalla giurisprudenza di legittimità è quello della funzione educativa del mantenimento, che si collega inscindibilmente al principio di autoresponsabilità del figlio maggiorenne. Come chiarito dalle Sezioni Unite della Cassazione, l’obbligo di mantenimento non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma deve essere valutato caso per caso in relazione alle specifiche circostanze del figlio e della famiglia.
La sentenza richiama i consolidati orientamenti della Cassazione civile, in particolare la pronuncia n. 12952/2016, che ha stabilito che “la valutazione delle circostanze che giustificano la ricorrenza o il permanere dell’obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni va effettuata dal giudice del merito necessariamente caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’età dei beneficiari”. Questo principio mira a evitare che l’obbligo assistenziale si protragga oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura.
Particolare rilievo assume la ripartizione dell’onere probatorio in materia di mantenimento dei figli maggiorenni. La Cassazione ha chiarito con la pronuncia n. 26875/2023 che “l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro”. Per il “figlio adulto“, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa.
In tema di procedure camerali, la Cassazione ha ribadito che, pur essendo caratterizzate dalla sommarietà della cognizione, deve essere comunque assicurato un pieno e completo contraddittorio tra le parti. Come stabilito dall’ordinanza n. 27234/2020, è ammissibile l’acquisizione di nuovi mezzi di prova, in specie documenti, a condizione che sia garantita la possibilità di un effettivo contraddittorio processuale.
Un aspetto fondamentale della pronuncia riguarda la ripetibilità delle somme già versate a titolo di mantenimento. La questione è stata definitivamente chiarita dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 32914/2022, che ha stabilito una distinzione cruciale: opera la condictio indebiti quando si accerti l’insussistenza ab origine dei presupposti per l’assegno di mantenimento, mentre non opera quando si tratti di una semplice rimodulazione per mutate condizioni economiche.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
La Corte di Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso, cassando la sentenza impugnata su due punti fondamentali che hanno rivelato vizi procedurali e sostanziali nella decisione di secondo grado. L’analisi della Suprema Corte ha evidenziato come la Corte d’Appello di Roma sia incorsa in errori che hanno compromesso la correttezza del procedimento e l’equità della decisione finale.