Buona fede soggettiva e violazione oggettiva delle procedure: quando l’intenzione non esclude la responsabilità disciplinare – Tribunale di Lecce 2025

Il confine tra buona fede soggettiva e responsabilità disciplinare oggettiva rappresenta uno dei nodi più complessi del diritto del lavoro contemporaneo. Una recente pronuncia del Tribunale di Lecce del 2025 ha affrontato questa delicata questione attraverso un caso emblematico che coinvolge un operatore del settore della nettezza urbana.

La vicenda ruota attorno a un episodio apparentemente di poco conto: un lavoratore che, mosso da quello che egli stesso ha definito come un gesto di cortesia, ha consentito il caricamento di alcuni sacchi di rifiuti provenienti da un furgone esterno sul mezzo aziendale da lui condotto. Quello che inizialmente poteva sembrare un semplice atto di collaborazione si è trasformato in un grave illecito disciplinare con conseguenze definitive per il rapporto di lavoro.

Il caso solleva interrogativi fondamentali sulla natura del rapporto fiduciario nel pubblico impiego e sui limiti della discrezionalità del lavoratore nell’interpretazione delle procedure aziendali. La sentenza del Giudice del Lavoro ha infatti stabilito principi di grande rilevanza pratica per tutti gli operatori del settore dei servizi pubblici essenziali, chiarendo quando la buona fede non costituisce elemento sufficiente per escludere la responsabilità disciplinare.

L’orientamento giurisprudenziale emerso dalla pronuncia leccese si inserisce in un filone consolidato della Suprema Corte di Cassazione che valorizza la valutazione concreta della gravità delle condotte, andando oltre la mera riconduzione formale alle previsioni della contrattazione collettiva. Il principio di proporzionalità tra fatto e sanzione trova così una nuova e significativa applicazione nel delicato equilibrio tra tutela del lavoratore e esigenze organizzative dell’ente datore di lavoro.

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Indice

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI

La controversia trae origine da un episodio verificatosi nell’estate del 2023, quando un operatore addetto al servizio di pronto intervento per la raccolta rifiuti si trovava alla guida del mezzo aziendale nelle prime ore pomeridiane. Durante il tragitto lungo una delle principali arterie di collegamento del territorio leccese, il lavoratore si imbatteva in una situazione che avrebbe cambiato per sempre il corso della sua carriera professionale.

Un furgone di colore bianco si affiancava al mezzo della società di igiene ambientale, e dal suo interno una persona richiedeva la cortesia di poter conferire alcuni sacchi neri nel vano di carico dell’autocarro aziendale. Il contenuto di questi sacchi, secondo quanto riferito dalla persona sconosciuta, sarebbe stato costituito da rifiuti indifferenziati. L’operatore, mosso da quello che egli stesso avrebbe successivamente definito come un gesto di buona fede e con l’intento dichiarato di evitare un possibile abbandono dei rifiuti, acconsentiva al conferimento.

L’episodio non passava inosservato. Un responsabile aziendale che transitava nella zona assisteva alla scena e decideva di documentarla attraverso una ripresa video effettuata con il proprio dispositivo mobile. Le immagini catturavano chiaramente il momento in cui i sacchi venivano letteralmente “lanciati” dal furgone esterno direttamente nel vano di carico del mezzo aziendale, mentre l’operatore rimaneva seduto al posto di guida.

Le successive verifiche aziendali rivelavano elementi di particolare gravità. Il furgone dal quale provenivano i rifiuti risultava intestato a una società con sede in un comune diverso da quello dove si svolgeva il servizio di igiene urbana, configurando quindi un conferimento del tutto estraneo all’organizzazione contrattuale dell’appalto pubblico. L’analisi del contenuto dei sacchi, effettuata a spese della società attraverso uno studio tecnico specializzato, evidenziava che il materiale era costituito per il novanta per cento da carta, tipologia di rifiuto completamente diversa da quella che l’operatore era autorizzato a raccogliere secondo l’ordine di servizio della giornata.

La gravità oggettiva della situazione emergeva con chiarezza dal fatto che l’operatore era specificamente assegnato al servizio di pronto intervento, che prevede procedure molto rigide per la raccolta di rifiuti anomali depositati presso cestini o carrellati, con preventiva segnalazione, fotografazione e classificazione del materiale da ritirare. La miscelazione di tipologie diverse di rifiuti rappresentava quindi non solo una violazione delle procedure interne, ma esponeva l’azienda al rischio concreto di pesanti sanzioni amministrative da parte dell’ente committente.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il quadro normativo di riferimento per la risoluzione della controversia si articola su molteplici livelli, dalla legislazione generale sui rapporti di lavoro fino alla specifica contrattazione collettiva del settore dei servizi ambientali. L’art. 5 della Legge n. 604/1966 stabilisce il principio fondamentale secondo cui “l’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro”. Questa disposizione rappresenta il cardine del sistema di tutele contro i licenziamenti illegittimi e impone al datore di lavoro un duplice onere probatorio: dimostrare la materialità del fatto contestato e provare che tale fatto sia di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto lavorativo.

Gli articoli 2104 e 2105 del Codice Civile delineano i doveri fondamentali del lavoratore subordinato, con particolare riferimento agli obblighi di diligenza e fedeltà. L’art. 2104 stabilisce che il prestatore di lavoro deve “usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale”, mentre l’art. 2105 impone al lavoratore di “non trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.

Il CCNL Servizi di Igiene Ambientale fornisce la disciplina specifica per il settore, con particolare rilevanza dell’art. 66 del Verbale di Accordo del 18 maggio 2022, intitolato “Doveri dei Lavoratori”. Questa disposizione stabilisce che tutti i lavoratori del settore devono “svolgere i compiti assegnati nel rispetto dei principi di lealtà, correttezza e diligenza” e “osservare tutte le disposizioni di carattere disciplinare, organizzativo e regolamentare in genere disposte con ordine di servizio”. La norma contrattuale assume particolare significato nel caso di specie per l’obbligo specifico di “fornire agli utenti informazioni sulle condizioni ed i termini contrattuali relativi alla prestazione dei servizi nei limiti della propria funzione e responsabilità”.

L’art. 68 del medesimo CCNL, rubricato “Sanzioni Disciplinari”, prevede al terzo comma le “Sanzioni espulsive” e stabilisce che “si incorre nella sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso per ogni mancanza che lede irreparabilmente il rapporto di fiducia con l’azienda”. La disposizione elenca in modo non esaustivo le condotte punibili con il licenziamento, includendo espressamente la “violazione deliberata di leggi, di regolamenti o dei doveri che possano arrecare o abbiano arrecato pregiudizio all’azienda o a terzi”.

Il procedimento disciplinare trova la sua disciplina nell’art. 7 della Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), che stabilisce le garanzie procedurali per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari. Questa norma impone la preventiva contestazione dell’addebito e il riconoscimento del diritto di difesa del lavoratore, principi che assumono rilievo costituzionale in quanto espressione del più generale principio del contraddittorio.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

La decisione del Tribunale di Lecce si articola attraverso un’analisi sistematica che affronta tutti i profili della controversia, dalla sussistenza del fatto contestato fino alla valutazione della proporzionalità della sanzione irrogata. Il Giudice del Lavoro ha innanzitutto affrontato la questione dell’onere probatorio, richiamando il consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo cui il datore di lavoro deve provare non soltanto la materialità del fatto, ma anche la sua gravità oggettiva.

Particolare rilievo assume il principio di proporzionalità elaborato dalla Suprema Corte con sentenza n. 13411 del 1° luglio 2020, secondo cui “ai fini della valutazione di proporzionalità è insufficiente un’indagine che si limiti a verificare se il fatto addebitato è riconducibile alle disposizioni della contrattazione collettiva che consentono l’irrogazione del licenziamento”. È invece necessario “valutare in concreto se il comportamento tenuto, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la prosecuzione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali”.

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