Licenziamento legittimo per attività ludica durante malattia: respinto l’appello e confermata la tutela indennitaria – Corte d’Appello di Roma 2025

La Corte d’Appello di Roma ha emesso una significativa pronuncia in materia di licenziamento disciplinare, confermando la legittimità del recesso intimato nei confronti di una lavoratrice che, durante un periodo di malattia per problemi alla schiena, è stata filmata mentre ballava ad una festa. La sentenza affronta diversi aspetti cruciali del diritto del lavoro, dalla valutazione della prova video in ambito disciplinare all’applicabilità della tutela indennitaria prevista dal Jobs Act. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto provato il fatto materiale contestato attraverso le testimonianze raccolte che hanno confermato sia l’esistenza del video, pubblicato su Facebook, sia la partecipazione della lavoratrice ad una serata danzante durante il periodo di malattia. Di particolare rilievo è la conferma dell’applicazione della tutela meramente indennitaria ex art. 3, comma 1, D.Lgs. 23/2015, anche in presenza di una contestazione disciplinare tardiva, essendo stato comunque accertato il comportamento illecito della dipendente.

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Indice

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI

La vicenda trae origine dal licenziamento disciplinare di una dipendente di una casa di cura privata che, durante un periodo di assenza per malattia dovuta a problemi alla schiena, è stata ripresa mentre partecipava ad una serata danzante. Il video della serata è stato pubblicato su Facebook e notato da alcune colleghe della lavoratrice, che hanno poi testimoniato in giudizio. In particolare, è emerso che l’episodio si è verificato la sera del 7 marzo 2020, all’inizio del periodo di lockdown in Lombardia. La contestazione disciplinare è stata inviata inizialmente al vecchio indirizzo della lavoratrice e, non essendo andata a buon fine la notifica, è stata rinnovata al nuovo recapito in data 5 agosto 2020. La dipendente non ha fornito giustificazioni durante il procedimento disciplinare ed è stata quindi licenziata il 2 settembre 2020. Il Tribunale di primo grado ha ritenuto il licenziamento illegittimo solo per violazione del principio di immediatezza della contestazione, applicando la tutela indennitaria prevista dall’art. 3, comma 1, D.Lgs. 23/2015. La lavoratrice ha impugnato la sentenza lamentando, tra l’altro, l’insussistenza del fatto contestato, la violazione del principio del ne bis in idem per il doppio invio della contestazione, e la mancata applicazione della tutela reintegratoria.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il quadro normativo di riferimento si incentra principalmente sul D.Lgs. 23/2015, che ha introdotto il regime di tutele crescenti per i licenziamenti illegittimi. In particolare, l’art. 3 del decreto prevede due distinti regimi di tutela: quella meramente indennitaria al comma 1 per i casi di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, e quella reintegratoria “attenuata” al comma 2 per le ipotesi di insussistenza del fatto materiale contestato. La Corte ha richiamato l’orientamento consolidato della Cassazione (sent. n. 12174/2019 e n. 30469/2023) secondo cui la tutela reintegratoria è limitata ai soli casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità o sia privo di rilevanza disciplinare. Nei casi di violazione delle regole procedurali, come la tardività della contestazione, trova invece applicazione la tutela indennitaria (Cass. SS.UU. n. 30985/2017). La Suprema Corte ha inoltre chiarito che lo stesso regime indennitario si applica in caso di violazione dei termini previsti dalla contrattazione collettiva per la contestazione dell’addebito. Quanto all’onere della prova, la giurisprudenza richiede al lavoratore che si assenta per malattia di dimostrare la compatibilità delle attività svolte durante l’assenza con lo stato patologico (Cass. n. 586/2016 e n. 4237/2015).

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

La Corte d’Appello ha respinto integralmente il ricorso della lavoratrice, confermando l’impianto motivazionale della sentenza di primo grado. In particolare, i giudici hanno ritenuto pienamente provato il fatto materiale contestato attraverso le testimonianze raccolte, che hanno confermato sia l’esistenza del video pubblicato su Facebook sia la partecipazione della dipendente ad una serata danzante durante il periodo di malattia. Di particolare rilievo è l’analisi della posizione probatoria della lavoratrice, che non ha mai contestato specificamente durante il procedimento disciplinare di essere la persona ritratta nel video o di aver partecipato alla serata, limitandosi a negazioni generiche. La Corte ha inoltre sottolineato come gravasse sulla dipendente l’onere di dimostrare la compatibilità dell’attività ludica con lo stato di malattia, prova che non è stata in alcun modo fornita. Quanto alla tardività della contestazione, i giudici hanno confermato che tale vizio procedurale non può comportare l’applicazione della tutela reintegratoria, essendo questa riservata ai soli casi di insussistenza del fatto materiale contestato. È stata anche esclusa la violazione del principio del ne bis in idem, in quanto il secondo invio della contestazione disciplinare è stato qualificato come mero rinnovo della prima comunicazione non andata a buon fine per il cambio di indirizzo non comunicato dalla lavoratrice. La Corte ha infine respinto la domanda di pagamento delle retribuzioni per i mesi successivi alla malattia, rilevando che la dipendente non si era presentata al lavoro alla scadenza del periodo di assenza giustificata.

ESTRATTO DELLA SENTENZA

“La tutela reintegratoria è limitata, in caso di licenziamento per giusta causa, alla sola ipotesi dell’insussistenza del fatto materiale contestato, ovvero alle ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare, mentre nella ipotesi di ritenuta violazione del principio di tempestività della contestazione trova applicazione la tutela indennitaria. La Suprema Corte ha affermato che la tutela indennitaria trova applicazione anche in ipotesi di violazione di norme del contratto collettivo che prevedano termini per la contestazione dell’addebito posto alla base del licenziamento”

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