Una recente sentenza della Corte d’Appello di Milano ha affrontato il delicato tema del licenziamento ritorsivo in un contesto di azienda familiare, dove i rapporti personali tra fratelli si intrecciano con quelli professionali. La pronuncia, emanata nel 2025, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato da una società nei confronti di una dipendente, sorella dell’amministratore unico, sancendo importanti principi in materia di contestazioni disciplinari e onere della prova nell’ambito dei licenziamenti ritorsivi.
La vicenda trae origine da un rapporto lavorativo nell’ambito di un’impresa a conduzione familiare, caratterizzato da una crescente conflittualità tra la lavoratrice e il fratello, socio e amministratore della società datrice di lavoro. Tale clima ostile è sfociato in un licenziamento per giusta causa, motivato da asserite condotte insubordinati e e assenze ingiustificate della dipendente. Tuttavia, la Corte d’Appello, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, ha ritenuto il recesso illegittimo per tardività della contestazione disciplinare, senza però ravvisare il carattere determinante ed esclusivo dell’intento ritorsivo prospettato dalla lavoratrice.
⚖️ Avv. Cosimo Montinaro – e-mail segreteria@studiomontinaro.it
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Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La controversia riguarda il licenziamento disciplinare di una lavoratrice, dipendente di una società a conduzione familiare, intimato in data 28/10/2022 per giusta causa a seguito di plurime contestazioni disciplinari. Gli addebiti mossi alla lavoratrice consistevano in asseriti atti di grave insubordinazione, violazione di obblighi di servizio e compiti assegnati, sottrazione e mancata restituzione del computer aziendale, improprio utilizzo delle attrezzature aziendali e assenza ingiustificata oltre i cinque giorni lavorativi.
La dipendente impugnava il licenziamento sostenendone la natura ritorsiva, quale reazione del datore di lavoro, fratello della stessa, alle denunce dalla medesima sporte nei suoi confronti per asserite violenze e vessazioni. La lavoratrice lamentava altresì di essere stata costretta a ricorrere allo smart working per sottrarsi alle condotte ostili subite. Le doglianze della lavoratrice venivano respinte dal Tribunale di primo grado.
La Corte d’Appello, adita dalla dipendente, pur non ravvisando la prospettata ritorsività del recesso, lo ha ritenuto illegittimo per violazione dell’art. 7 St. Lav. con riguardo al requisito dell’immediatezza della contestazione disciplinare relativa all’addebito di assenza ingiustificata protrattasi da aprile a ottobre 2022.
I Giudici di seconde cure hanno escluso la sussistenza del carattere esclusivo e determinante dell’intento ritorsivo in ragione dell’insussistenza dell’addebito di assenza ingiustificata addebitato alla ricorrente. È stato, infatti, ritenuto pacifico che la lavoratrice non si fosse presentata in azienda per il periodo oggetto di contestazione disciplinare, né tale condotta potesse trovare giustificazione in un’asserita autorizzazione della società allo svolgimento dell’attività lavorativa in modalità agile in base a prescrizione medica.
NORMATIVA E PRECEDENTI
L’art. 2119 c.c. prevede che ciascuno dei contraenti di un rapporto di lavoro subordinato possa recedere ante tempus dal contratto in presenza di una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. La giurisprudenza ha chiarito che tale disposizione fa riferimento ad un inadempimento o comportamento del lavoratore talmente grave da ledere irrimediabilmente l’elemento fiduciario su cui si fonda la collaborazione tra le parti (ex multis Cass. n. 12884/2022).
In tema di licenziamento ritorsivo, secondo il consolidato orientamento di legittimità, il relativo onere probatorio ricade sul lavoratore, che può assolverlo anche tramite presunzioni. Tuttavia, il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere determinante, ovvero costituire l’unica effettiva ragione del recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto deve risultare insussistente nel riscontro giudiziale (Cass. n. 17266/2024, Cass. n. 29337/2023).
L’art. 7 St. Lav. prevede la nullità del licenziamento disciplinare intimato senza preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore. La giurisprudenza richiede altresì l’immediatezza della contestazione, che deve intervenire entro un termine congruo rispetto al momento di acquisizione della piena conoscenza dell’infrazione da parte del datore di lavoro (Cass. n. 7653/2022).
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
La Corte d’Appello di Milano ha riformato parzialmente la sentenza di primo grado che aveva respinto le doglianze della lavoratrice avverso il licenziamento disciplinare, ritenuto illegittimo per tardività della contestazione relativa all’addebito di assenza ingiustificata, ma ha escluso il carattere ritorsivo del recesso datoriale.
Sotto il primo profilo, i Giudici d’appello hanno rilevato come la contestazione disciplinare dell’addebito di assenza ingiustificata, relativo al periodo da aprile 2022, fosse stata elevata solo nel successivo mese di ottobre, risultando pertanto intempestiva rispetto all’acquisizione della conoscenza del fatto contestato da parte del datore di lavoro. Di conseguenza, in applicazione dell’art. 7 St.lav., la Corte ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato per tale motivo.
Quanto alla prospettata natura ritorsiva del recesso, la Corte d’Appello ha osservato come la stessa postulasse l’accertamento dell’efficacia determinante esclusiva dell’intento illecito, incombente sul lavoratore. Nel caso di specie, i Giudici hanno ritenuto tale prova non raggiunta, in quanto l’insussistenza della giusta causa era stata affermata unicamente con riguardo all’addebito di assenza ingiustificata, risultando invece pacifica l’oggettiva circostanza del mancato rientro in azienda della dipendente nel periodo in contestazione.