Pignoramento immobiliare: qual è il “prezzo giusto” secondo la sentenza del Tribunale di Taranto 2023
Ogni qualvolta un giudice si trova di fronte a una lacuna normativa, è chiamato a colmarla attraverso un’accurata interpretazione della legge. È quanto accaduto al Tribunale di Taranto nel 2023, che si è dovuto confrontare con un quesito cruciale: come definire il concetto di “prezzo giusto” nel contesto di un pignoramento immobiliare, posto che il codice di procedura civile non fornisce alcuna indicazione specifica.
La questione non è di poco conto. Se il prezzo di aggiudicazione di un bene pignorato è notevolmente inferiore a quello “giusto“, la vendita può essere sospesa su istanza di parte. Ma come individuare questo valore equo? Il caso esaminato ha sollevato un acceso dibattito, culminato in una sentenza destinata a fare giurisprudenza.
INDICE
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- MASSIMA RISOLUTIVA DELLA SENTENZA
- IMPLICAZIONI PRATICHE
ESPOSIZIONE DEI FATTI
Il caso trae origine da un’opposizione all’esecuzione immobiliare promossa dai debitori esecutati innanzi al Tribunale di Taranto. Oggetto del contendere era l’aggiudicazione di un immobile di loro proprietà, avvenuta nel 2019 nell’ambito di un procedimento esecutivo, al prezzo di 33.400 euro.
Un valore ben al di sotto dei 250.000 euro stimati nella relazione tecnica, che aveva tenuto conto delle consistenti spese necessarie per sanare le numerose difformità edilizie riscontrate. Gli opponenti ritenevano dunque il prezzo di aggiudicazione “notevolmente inferiore a quello giusto“, chiedendone la declaratoria di inefficacia ex art. 586 c.p.c. mediante l’opposizione all’esecuzione.
Costituitisi in giudizio, i creditori procedenti respingevano le pretese attrici, eccependo l’inammissibilità, improponibilità e infondatezza dell’opposizione. Parte convenuta rimanevano inoltre alcuni soggetti, rimasti tuttavia contumaci.
NORMATIVA E PRECEDENTI
La normativa di riferimento è rappresentata dall’art. 586 c.p.c., che consente al giudice dell’esecuzione di sospendere la vendita nel caso in cui il prezzo offerto sia “notevolmente inferiore a quello giusto“. Manca però una definizione specifica di “prezzo giusto“, su cui si è resa necessaria un’approfondita ricostruzione interpretativa.
Il Tribunale di Taranto ha innanzitutto richiamato l’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, che disciplina l’interpretazione della legge in presenza di lacune normative. In tali casi, il giudice deve attingere alle “disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe“, applicandole per analogia legis ove sussistano i presupposti della similitudine, della carenza di previsione espressa e dell’esistenza di una medesima ratio.
Nel caso di specie, il Tribunale ha individuato la norma da applicare analogicamente nell’art. 108 della Legge Fallimentare (R.D. 267/1942), che definisce il “prezzo giusto” come quello “tenuto conto delle condizioni di mercato“. Una soluzione supportata non solo dalla similitudine tra esecuzione individuale ed esecuzione fallimentare, ma anche da una coerente lettura sistematica delle norme codicistiche in materia esecutiva.
In particolare, il Tribunale ha richiamato l’art. 2910 c.c. sull’oggetto dell’espropriazione forzata, che consente al creditore di “conseguire quanto gli è dovuto“, norma da leggere in combinato disposto con l’art. 164-bis disp. att. c.p.c. Quest’ultima disposizione prevede la chiusura anticipata del processo esecutivo quando non sia più possibile “conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori”.
Orbene, la necessità che il prezzo sia “giusto” avuto riguardo ai criteri di mercato discende proprio dalla finalità dell’espropriazione forzata, che non può tradursi in un ingiustificato sacrificio per il debitore esecutato. Un principio ribadito dallo stesso giudicante in una pionieristica ordinanza del 2000, ove si affermava che il processo esecutivo è retto dal canone della “realizzazione dei diritti di credito con il minor sacrificio possibile per il debitore“.
Questa impostazione trova oggi puntuale riscontro nell’art. 164-bis disp. att. c.p.c., che impone la chiusura anticipata dell’esecuzione laddove il prezzo realizzabile si prospetti talmente iniquo da rendere vano il soddisfacimento delle pretese creditorie, anche considerati i costi di prosecuzione del processo.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
Alla luce delle premesse ermeneutiche sopra illustrate, il Tribunale di Taranto ha accolto l’opposizione dei debitori esecutati. Nel valutare il rapporto tra il prezzo di aggiudicazione di 33.400 euro e quello di stima di 250.000 euro, non contestato dalle parti, il giudice vi ha ravvisato un deprezzamento anomalo, tale da configurare una violazione del canone del “prezzo giusto di mercato“.
Un esito a cui non si è opposta neppure la possibilità, introdotta dal d.l. 83/2015, di esperire più tentativi di vendita a prezzi progressivamente ribassati ex art. 591 c.p.c. Il Tribunale ha infatti chiarito che tale disposizione non si pone in un rapporto di subordinazione gerarchica rispetto alla nozione di “giusto prezzo” ex art. 586 c.p.c., la cui ratio appunto è quella di porre un limite invalicabile ai ribassi.
L’accoglimento dell’opposizione ha così determinato l’inefficacia dell’aggiudicazione, “sino all’accertamento disponendo dal G.E. della congruità del prezzo rispetto ai valori di mercato“. Una soluzione che appare condivisibile non solo per l’elaborata ricostruzione ermeneutica, ma anche perché valorizza il fondamentale principio della tutela dell’interesse del debitore a non subire sacrifici patrimoniali eccessivi.
Facendo leva su una interpretazione costituzionalmente orientata, il Tribunale di Taranto ha enucleato dall’art. 2910 c.c., sull’oggetto dell’espropriazione forzata, il diritto del creditore di “conseguire quanto gli è dovuto“, cui si contrappone l’interesse del debitore a che ciò avvenga “con il minor sacrificio possibile“. Una soluzione equilibrata, conforme ai canoni di proporzionalità, adeguatezza e minor sacrificio del vincolo espropriativo.
Il percorso argomentativo si è basato su una attenta ricostruzione dei principi sottesi alla disciplina dell’espropriazione forzata, letti in chiave sistematica e costituzionalmente orientata. Da un lato, il richiamo all’interesse dei creditori a una soddisfazione effettiva delle proprie ragioni. Dall’altro, la necessità di scongiurare pregiudizi patrimoniali ingiustificati in danno del debitore, il cui sacrificio deve essere congruo e proporzionato.
In questa prospettiva, il Tribunale ha enucleato con forza il principio di proporzionalità e minor sacrificio del vincolo espropriativo, alla luce del quale il “giusto prezzo” costituisce un imprescindibile contrappeso alla stessa pretesa creditoria azionata in via esecutiva.
MASSIMA RISOLUTIVA DELLA SENTENZA
“Il prezzo ‘giusto’ di cui all’art. 586 c.p.c., che legittima il giudice dell’esecuzione a sospendere la vendita del bene pignorato qualora il prezzo offerto sia ‘notevolmente inferiore’, va individuato in quello ‘giusto tenuto conto delle condizioni di mercato’ di cui all’art. 108 della Legge Fallimentare (R.D. 267/1942), applicato per analogia legis ai sensi dell’art. 12 delle preleggi, in considerazione della similitudine esistente tra l’esecuzione individuale e l’esecuzione fallimentare, nonché della medesima ratio sottesa alle rispettive discipline, ossia quella di realizzare le ragioni creditorie con il minor sacrificio possibile per il debitore esecutato, conformemente ai canoni di proporzionalità e adeguatezza che governano il processo esecutivo.” (Tribunale di Taranto, sentenza 2023)
IMPLICAZIONI PRATICHE
La sentenza in esame ha il pregio di colmare un vuoto normativo relativo a una questione di non secondaria importanza nel processo esecutivo. Definendo il parametro del “prezzo giusto” sulla base di consolidate norme fallimentari, si è offerta una soluzione ermeneutica rispettosa del dettato codicistico e allo stesso tempo attenta alla tutela dei contrapposti interessi di debitore e creditori.
Ciò favorisce una maggiore uniformità applicativa, superando le incertezze che in passato hanno inevitabilmente caratterizzato le valutazioni del giudice dell’esecuzione. Non ultimo, la pronuncia rappresenta un passo avanti verso una visione più moderna e garantista del processo esecutivo.
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