Reddito di Cittadinanza revocato per vincite da gioco online – Corte d’Appello Lecce 2024

Nel panorama giuridico italiano, una recente sentenza della Corte d’Appello di Lecce del 2024 ha sollevato importanti questioni riguardanti il Reddito di Cittadinanza e gli obblighi dichiarativi dei beneficiari. Il caso in esame pone l’accento su un aspetto controverso: le vincite da gioco online devono essere dichiarate ai fini dell’ottenimento del beneficio assistenziale? E quali sono le conseguenze di un’omessa comunicazione? Questa pronuncia offre spunti di riflessione cruciali per chiunque sia coinvolto o interessato alle dinamiche del Reddito di Cittadinanza.

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Per una comprensione completa della vicenda giudiziaria, ti invitiamo a proseguire con la lettura del testo completo.

INDICE

ESPOSIZIONE DEI FATTI

La vicenda processuale trae origine da una domanda di Reddito di Cittadinanza presentata nell’aprile 2019. Il beneficio venne inizialmente concesso sulla base delle autodichiarazioni contenute nella Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU) fornita dalla richiedente. Tuttavia, a seguito di indagini condotte dalla Guardia di Finanza, emersero elementi che portarono alla revoca del beneficio con effetto retroattivo.

Il nodo centrale della controversia riguardava la presenza di un conto di gioco online intestato alla richiedente, sul quale risultavano movimentazioni significative negli anni precedenti alla domanda. In particolare, le indagini avevano rilevato vincite superiori a 20.000 euro nel 2017 e tra i 10.000 e 20.000 euro nel 2018. Tali importi, secondo l’interpretazione dell’INPS, superavano la soglia prevista per l’ottenimento del Reddito di Cittadinanza.

La beneficiaria, di fronte alla revoca del sussidio, aveva presentato ricorso sostenendo di non aver effettivamente vinto le somme contestate, ma di aver anzi subito perdite nell’attività di gioco online. La sua tesi si basava sull’interpretazione dei prospetti di gioco, argomentando che le somme indicate come “vincite” rappresentassero in realtà il totale delle giocate effettuate e non un guadagno netto.

Il Tribunale di primo grado aveva respinto il ricorso, ritenendo che le vincite da gioco online rientrassero nella categoria dei “redditi diversi” ai sensi del TUIR e che, pertanto, dovessero essere dichiarate ai fini del Reddito di Cittadinanza. La mancata comunicazione di tali entrate giustificava, secondo il giudice di prime cure, la revoca del beneficio con efficacia retroattiva.

La vicenda è quindi approdata in Corte d’Appello, dove la ricorrente ha sollevato nuove argomentazioni, tra cui l’applicabilità dell’art. 69 comma 1-bis del TUIR, che esclude dalla tassazione le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate, e la rilevanza dei soli dati relativi all’anno 2018 ai fini della DSU presentata nel 2019.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il caso in esame si colloca all’intersezione di diverse normative, richiedendo un’analisi approfondita del quadro legislativo di riferimento. In primo luogo, occorre considerare la disciplina del Reddito di Cittadinanza, introdotta dal Decreto Legge n. 4/2019, convertito con modificazioni dalla Legge n. 26/2019. L’articolo 1 di tale legge definisce il RdC come una “misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale“.

Di cruciale importanza è l’articolo 7 della Legge n. 26/2019, che al comma 4 prevede la sanzione della revoca con effetto retroattivo del RdC in caso di accertata non corrispondenza al vero delle dichiarazioni e delle informazioni poste a fondamento dell’istanza. Questa disposizione è stata al centro dell’interpretazione giurisprudenziale nel caso di specie.

Per quanto riguarda la qualificazione fiscale delle vincite da gioco, il riferimento normativo principale è il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). In particolare, l’articolo 67 del TUIR include le vincite e i premi nella categoria dei “redditi diversi“, mentre l’articolo 69 ne disciplina la tassazione. Il comma 1-bis dell’articolo 69, introdotto dalla Legge n. 122/2016, stabilisce che le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate non concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo d’imposta.

La Corte ha dovuto inoltre considerare la normativa relativa alla Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU), regolata dal DPCM n. 159/2013 e successive modifiche. In particolare, il Decreto Legislativo n. 147/2017 ha modificato i riferimenti temporali per l’aggiornamento dei dati reddituali e patrimoniali nella DSU.

Sul piano giurisprudenziale, la Corte ha fatto riferimento a importanti precedenti della Cassazione, tra cui la sentenza n. 13917 del 20/5/2021, che ha fornito una definizione generale delle prestazioni assistenziali, riconducendole all’articolo 38, comma 1, della Costituzione e all’articolo 128 del D.Lgs. n. 112/1998.

Di particolare rilevanza è stata anche la sentenza n. 3114 del 22/11/2022 del Tribunale penale, che ha assolto la ricorrente dal reato di false dichiarazioni nella domanda di RdC, pur riconoscendo l’obbligo di dichiarare le vincite da gioco online come “redditi diversi“.

Infine, la Corte ha dovuto tenere conto della recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione penale (sentenza n. 49686 del 13/12/2023), che ha stabilito i criteri per l’integrazione del reato di false dichiarazioni ai fini dell’ottenimento del RdC.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

La Corte d’Appello, nell’affrontare il caso, ha dovuto bilanciare diverse questioni giuridiche e interpretative. In primo luogo, ha affrontato l’argomento sollevato dall’appellante riguardo l’applicabilità dell’art. 69 comma 1-bis del TUIR, che esclude dalla tassazione le vincite provenienti da case da gioco autorizzate. La Corte, pur riconoscendo la validità di tale norma in ambito fiscale, ha operato una distinzione fondamentale tra la normativa fiscale e quella relativa alle prestazioni assistenziali.

Il ragionamento della Corte si è basato sulla considerazione che il Reddito di Cittadinanza, in quanto misura assistenziale, si fonda su una nozione di reddito familiare più ampia e diversa rispetto a quella di reddito imponibile ai fini fiscali. Questa interpretazione è in linea con la finalità stessa del RdC, volta a contrastare la povertà e l’esclusione sociale. La Corte ha sottolineato come un’interpretazione restrittiva, che escludesse le vincite da gioco dal computo del reddito ai fini del RdC, potrebbe portare a situazioni paradossali in cui anche individui con significative entrate da gioco potrebbero accedere al beneficio.

Un altro punto cruciale della decisione riguarda la temporalità dei dati da considerare nella DSU. Nonostante le modifiche normative che hanno aggiornato i riferimenti temporali per la dichiarazione dei redditi e patrimoni, la Corte ha ritenuto che, nel caso specifico, dovessero essere considerati anche i dati relativi all’anno 2017. Questa decisione si basa sul fatto che la DSU era stata presentata nel marzo 2019, quando i termini per la dichiarazione dei redditi 2018 non erano ancora scaduti.

La Corte ha inoltre dato particolare rilevanza alle risultanze dell’indagine della Guardia di Finanza, confermando l’interpretazione secondo cui i prelievi effettuati dal conto di gioco rappresentano effettivamente somme entrate nella disponibilità del dichiarante o del suo nucleo familiare. Questo aspetto è stato considerato determinante, indipendentemente dal fatto che tali somme potessero essere successivamente reinvestite nel gioco.

Un elemento significativo della decisione è la distinzione operata tra le conseguenze penali e quelle civili dell’omessa dichiarazione. Mentre in ambito penale l’assoluzione della ricorrente è stata motivata dall’assenza dell’elemento psicologico del dolo, in ambito civile la Corte ha ritenuto sufficiente la mera non corrispondenza al vero delle informazioni fornite per giustificare la revoca del beneficio.

La Corte ha respinto la richiesta di nuove prove testimoniali, ritenendole non necessarie alla luce delle evidenze già disponibili. Ha inoltre rigettato la domanda di risarcimento danni per la perdita del beneficio negli anni successivi, sottolineando che l’esclusione dal RdC per un periodo prolungato è una conseguenza prevista solo in caso di condanna penale, che nel caso di specie non è intervenuta.

In conclusione, la decisione della Corte d’Appello si caratterizza per un’interpretazione rigorosa degli obblighi dichiarativi connessi al Reddito di Cittadinanza, privilegiando una visione ampia del concetto di reddito familiare e sottolineando l’importanza della trasparenza nelle dichiarazioni ai fini dell’accesso ai benefici assistenziali.

ESTRATTO DELLA SENTENZA

Ne consegue che parte appellante è giustamente incorsa nella sanzione della revoca con effetto retroattivo del RdC prevista dall’art. 7 comma 4 della l. n. 26/2019 nel caso di accertamento della non corrispondenza al vero delle dichiarazioni e delle informazioni poste a fondamento dell’istanza.

Rispetto alla fattispecie di reato da cui la [appellante] è stata assolta, e per cui rileva la circostanza che una corretta informazione non avrebbe escluso l’istante dal beneficio (cfr. Cass. pen., SU, sentenza n. 49686 del 13.12.2023), ai fini delle conseguenze civilistiche della revoca del beneficio prevale il dato della comunicazione di informazioni non veritiere. Infatti, per l’integrazione del reato di cui al primo comma del citato art. 7, è richiesto il fine di ottenere indebitamente il beneficio o che le informazioni omesse oggetto del secondo comma siano quelle «dovute e rilevanti ai fini della revoca o riduzione del beneficio», mentre tali specificazioni non sono più contenute nell’art. 7, comma 4, disciplinante la revoca con effetto retroattivo del RdC.

Alla stregua delle suesposte considerazioni non appare necessario procedere ad accertamenti peritali. Quanto alla rinnovata richiesta di ammissione di prova testi si osserva che nessuna richiesta di prova era stata articolata dalla parte nel ricorso introduttivo del giudizio ma solo con le note di replica per l’udienza del 15.12.2021. In ogni caso la prova sarebbe volta a dimostrare che il conto gioco era utilizzato dagli altri componenti della famiglia della appellante e perciò si è comunque trattato di entrate relative al reddito familiare.

La domanda di risarcimento del danno per la perdita del beneficio relativamente agli anni a seguire non è accoglibile dal momento che l’esclusione dal beneficio fino a dieci anni dalla condanna presuppone appunto che una condanna penale vi sia stata (Cfr. art. 7, comma 3, L. n. 26/2019). In ogni caso la parte non ha documentato di aver presentato altre domande e che il loro rigetto sia dipeso dalla revoca del beneficio erogato nel periodo maggio 2019 – ottobre 2020.

(Corte d’Appello di Lecce, sentenza n. 342/2024)

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